Fino alla fine della seconda guerra mondiale la maggioranza della popolazione italiana, quindi anche modenese, viveva e lavorava in campagna; una condizione frutto di un’evoluzione millenaria nella quale l’agricoltura è stata l’attività principale dell’uomo per procurarsi cibo e garantirsi la sopravvivenza, da quando, circa 10.000 anni fa, prima si affiancò e poi prevalse su quella dei cacciatori-raccoglitori.
Un’evoluzione realizzatasi senza drammatiche discontinuità, anche se la storia della nostra alimentazione può essere raccontata come un alternarsi di periodi di carestia, e di relativo benessere, nel corso del quale sono stati selezionati i prodotti e i sapori che hanno caratterizzato l’esperienza dei contadini.
Si passa da una situazione in cui sono i sensi a guidare la scelta di ciò che può essere cibo che è poco manipolato dall’uomo, ad una in cui il cibo viene ‘prodotto’ per i sensi.
Cosa significa?
Fino alla fine della seconda guerra mondiale Modena era una provincia prevalentemente agricola e relativamente povera; il cibo era il sostentamento per il popolo. Nell’arco dei successivi trent’anni è diventata una delle zone più industrializzate e ricche d’Italia e d’Europa e i cibi sono stati “elaborati” per dare gusto ai cinque sensi.
Si tratta sempre e comunque di prodotti poveri, tipici del territorio modenese: perché come nel “Chitlin’ Circuit” spesso cibi semplici e genuini della nostra terra sono ricchi di tradizione e cultura, di sapori e di saperi.
La povertà che si esplicita in semplicità, perché cibi dell’agricoltura povera e semplici da preparare e gustare.
La ricchezza di prodotti secolari e, in qualche caso, millenari frutto dell’operosità delle genti modenesi con una storia e una tradizione che il mondo intero ci invidia.
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